venerdì 11 luglio 2008

Ragioni di vita, sentite dal cuore

Non ho più aggiornato il blog con le mie esperienze al Dipartimento di Psicologia.
Effettuo la prima seduta qualche settimana fa, ed una cosa che mi infastidisce già dall'inizio, all'accettazione, è che una decina di segretarie cinguettanti si ammutolisce alla mia entrata e all'annuncio che devo incontrare la dottoressa.
Come se non potessero parlare di fronte ad un paziente.
Il 'capo-segretario' è un emerito idiota che quando viene il momento di pagare il ticket di 17 euro, e io gli presento una banconota da 50, non sa darmi il resto, e comincia a smanettare con la calcolatrice.
Alla fine si rassegna all'idea di non avere sufficienti spiccioli, e quindi segna su un blocchetto, che io, assieme ad altre 30 persone, la prossima volta pagherò di meno, perchè ora non ha resto a sufficienza.
Arrivo al quarto piano, e scopro con mia pessima meraviglia, che è il piano senza aria condizionata: appena usciti dall'ascensore, sembra di essere entrati in una sauna finlandese.
Entro nella stanza, e lì vi trovo già la mia dottoressa, seduta dietro ad una scrivania, con le braccia distese sulla superfice liscia e bollente.
E lì un altro momento di sconcerto, mi aspettavo una dall'aspetto della Hack o di Alessandra Fajella, invece lei ha al massimo 25 anni, al massimo.
Molto gentilmente mi spiega che il colloquio sarà di 45 minuti, e che lei, per le prime 4 sedute, non dirà una parola che sia una.
Comincio a parlare senza sapere esattamente da dove cominciare.
Lei è lì davanti a me, a 10 cm di distanza, so solo il suo cognome, non so come si chiama, non so nulla della sua vita, ma mi sorride incoraggiante.
Penso che sia una situazione sufficente a fare impazzire chiunque: devi raccontare i segreti di cui hai più vergogna ad una persona che non hai mai visto prima, e che non li commenterà, resterà zitta, con gli occhi che non ti si staccano da dosso.
Devi farlo, altrimenti l'unica alternativa, è restare entrambi in silenzio.
Devi farlo, e devi essere sincero ed aperto, perchè se vai lì , vergognandoti delle scelte che hai fatto, omettendo certi segreti, mentendo su quelle situazioni che poi ti hanno indotto a chiedere un aiuto da parte di uno specialista, che cazzo ti sei fatto a fare 90 km, pagato un parcheggio, e quattro pedaggi autostradali?
Hai scelto una strada lungo un bivio, ed adesso te la percorri tutta.
Non sei il te stesso di ogni giorno in quella stanza: le mani ti tremano, la voce ti trema, non riesci a guardare la dottoressa negli occhi per quanto ti fissa, giochi con la bottiglina d'acqua che hai tra le mani.
Siamo abituati a discutere dei nostri problemi in macchina, nei bar, per strada, con gente con cui hai scelto di stringere un'amicizia.
Lì invece sei tu e la sconosciuta, punto.
Questa sconosciuta che ascolta zitta senza perdersi una parola di quello che stai dicendo, non come un amico che magari nel bel mezzo di una discussione ti interrompe dicendo: 'Uh scusami se ti interrompo, mi sta arrivando una telefonata' 'Ah bè, però così sbagli' 'Ah bè, però così sbaglia!'
Sai che attraverso i tuoi movimenti, i tuoi toni di voce, le tue confessioni, lei non ti sta solo ascoltando, ma ti sta auscultando, come un dottore che ti chiede di respirare forte.
Poi, ella approfitta di quel momento in cui stai facendo una pausa, e ti dice: 'per oggi è finito, alla settimana prossima' un altro sorriso, un'altra stretta di mano.
Mi sento svuotato, questo è vero, ma ho la gola secca per quanto ho parlato, ho gli occhi lucidi ed un pò d'affanno per le cose brutte che ho rimosso, e di cui non parlavo da anni, o di cui non ho mai parlato.
Ma se voglio risolvere qualcosa, almeno lei deve saperle.
Ma nel silenzio di quella stanza i miei segreti fanno eco, rimbombano, a volte mi suonano amplificati, quasi comici.
Mi avvio verso l'ascensore, e mentre l'aspetto, mi volto verso la stanza da dove sta uscendo la dottoressa.
Lei marcia dritta verso le scale, senza nemmeno prendere in considerazione l'idea di scendere in ascensore con me.
Io sono il suo paziente, non possiamo stringere amicizia, discutendo magari futilmente del tempo.
Scenderà quei quattro piani da sola, sui suoi tacchi.
Alla settimana prossima, dottoressa.

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